Villa dei Vescovi venne edificata tra il 1535 e il 1542 su un terrapieno dei Colli Euganei dalla curia di Padova, per offrire al vescovo una sontuosa casa di villeggiatura estiva.
Il vescovo committente fu Francesco Pisani (episcopato dal 1524 al 1564), mentre per l’esecuzione dell’opera venne incaricato il nobiluomo Alvise Cornaro, amministratore della mensa vescovile dal 1529 al 1537. Cornaro, con l’appoggio del vescovo Pisani, ne affida il progetto al pittore architetto Giovanni Maria Falconetto (Verona 1468 – Padova 1535).
Nella versione originale, la Villa era costituita da un compatto parallelepipedo a base quadrata, alleggerito su due lati del primo piano da due logge aperte sul paesaggio circostante.
All’interno la parte cinquecentesca prevedeva un ambiente centrale al piano terra, sovrastato da un cortile pensile in corrispondenza del piano nobile. Allontanandosi dai tradizionali canoni costruttivi locali, l’edificio superava quindi i confini regionali per trarre ispirazione dai contemporanei modelli fiorentini o per risalire addirittura agli esempi dell’antichità romana, fornendo così una personale anticipazione della posteriore opera palladiana.
Tale influenza della classicità si inseriva d’altra parte all’interno di un più ampio programma politico di trasformazioni territoriali, teso a ribadire l’origine romana della città di Padova: lo stesso nome di Luvigliano deriva infatti da “Livianum”, che all’epoca veniva identificato come il sito in cui Tito Livio avrebbe edificato la sua villa in campagna.
Tra gli architetti che succedettero al Falconetto, oltre all’intervento di Giulio Romano sul bugnato del piano terreno, è certa la presenza dell’istriano Andrea da Valle (?-1577) che, chiamato dai vescovi Alvise Pisani (episcopato dal 1567 al 1570) e Federico Corner (episcopato dal 1577 al 1590), diresse importanti interventi monumentali che modificarono il complesso della Villa, privilegiando e sviluppando il lato ovest. Venne costruito con la sua direzione un nuovo accesso principale costituito dalla corte quadrata e dalla recinzione merlata aperta in tre ampi portali. La facciata stessa della Villa venne arricchita con le scalinate di collegamento tra la loggia e la piattaforma a terrazza.
Successivamente Vincenzo Scamozzi (Vicenza 1552 – Venezia 1616) intervenne sulla facciata orientale con l’inserimento di una scalinata e di una grotta con fontana.
Nel Seicento, diversi vescovi dedicarono molta attenzione ai giardini, agli orti e al brolo negli spazi circostanti la Villa. All’episcopato (1697-1722) di Giorgio Corner (o Cornaro), vanno ascritti ulteriori miglioramenti, tra cui il completamento della scalinata dalla loggia orientale alla piattaforma, così come alcuni interventi sono attribuibili a Minotto Ottoboni (vescovo dal 1730 al 1742), mentre all’epoca del benedettino Nicolò Antonio Giustiniani (vescovo dal 1772 al 1796) o del suo predecessore, potrebbe collocarsi la revisione planimetrica con la risistemazione di alcuni spazi interni.
Poco si conosce delle vicende di Villa dei Vescovi nell’Ottocento. Nel 1910, il vescovo Luigi Pellizzo decise di privarsi dell’uso della dimora per affittarla a un privato che si facesse carico dei restauri resi necessari. Durante la seconda guerra mondiale la residenza fu messa a disposizione delle famiglie sfollate e per un breve periodo fu anche sede del monastero delle suore Carmelitane Scalze.
Nel dopoguerra, Villa dei Vescovi divenne “Villa San Domenico Savio”, sede degli esercizi spirituali per i giovani.
Nel 1962 esaurita anche quest’ultima funzione la Villa venne quindi ceduta, destinando il ricavato all’Opera della Provvidenza Sant’Antonio, a Vittorio Olcese e all’allora consorte Giuliana Olcese de Cesare, che ne curarono un primo restauro sia nella struttura architettonica sia nella decorazione interna ad affresco, riportata finalmente alla luce dopo secoli di mascheratura.
Nel 2005 Maria Teresa Olcese Valoti, seconda moglie di Vittorio, e il loro figlio Pierpaolo decisero di donare Villa dei Vescovi al FAI.
Concepita sin dall’inizio come palazzo di città e destinata a ritrovo per intellettuali e circoli umanistici, l’imponente dimora è giunta straordinariamente intatta fino ai nostri giorni, mantenendo a tutt’oggi l’antico rapporto di dialogo e armoniosa convivenza col paesaggio circostante.
Affreschi
Lambert Sustris nasce tra il 1510 e il 1515 ad Amsterdam, dove probabilmente si educa all’arte nella bottega di Jan van Scorel.
Giunge a Venezia nella prima metà degli anni Trenta e poco dopo scende a Roma per studiare le antichità e le opere di Raffaello e della sua scuola. Nella risalita verso Venezia è presumibile si sia fermato a Firenze e a Mantova, dove era attivo Giulio Romano, principale erede del Sanzio. Tornato a confrontarsi con il senso del colore e della luce dei pittori veneziani (Tiziano, Paris Bordon, Bonifacio de’ Pitati), Sustris, grazie alle sue esperienze centroitaliane, è subito in grado di diventare uno dei protagonisti del rinnovamento in chiave manieristica, prodotto dall’arrivo in laguna dei toscani Francesco Salviati, di Giuseppe Porta, suo allievo, e di Giorgio Vasari.
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